Nora ha partecipato al #gruppoOverland accompagnato da Monica in Uzbekistan.
Albeggia sopra Khiva, quando atterriamo in Uzbekistan. E’ stato un viaggio piacevole tra tentativi di prendere sonno e l’eccitazione, che accompagna sempre chi si avventura in luoghi lontani e sconosciuti. Nonostante le immagini di monumenti da mille e una notte e gli approfondimenti-storico culturali, si è sempre divorati dalla curiosità e dell’incertezza dell’imprevisto. Scendiamo dalla scaletta dell’aereo e tutto inizia.
Le formalità sono rapidamente evase e Monica, la nostra accompagnatrice, controlla che ogni cosa si svolga in sicurezza. Usciamo dall’aereoporto, dove ci attende la nostra Mukadass, una giovane donna determinata e competente, che ci farà scoprire, non soltanto la storia, la cultura e l’arte di questo paese millenario, ma soprattutto ci avvicinerà alle tradizioni e alle abitudini di un popolo così lontano dai principi occidentali. Raggiungiamo l’albergo e dai finestrini dell’autobus scopriamo una campagna, dove si coltivano soprattutto alberi da frutto: le case sono basse e ordinate, così come tutto il resto. La prima sensazione, è quella di un popolo orgoglioso, pulito e accogliente. Sembra di essere saliti sulla macchina del tempo ed essere tornati alla fine della seconda guerra mondiale. Da subito la guida ci racconta di usi e abitudini, anche su nostra sollecitazione. Dobbiamo essere contenuti.
L’hotel è proprio comodo, vicino alle mura di Khiva, a pochi passi dalla cittadella storica. Nonostante l’insonnia e la fatica, non vediamo l’ora di avviarci, dopo aver iniziato a scoprire la bontà e la dolcezza della cucina uzbeka. Il sole è ormai alto nel cielo e si riflette sulle mura di fango, color tortora, della città storica. Entriamo dalla porta principale e ci attende un mondo diverso, lontano dall’Europa anni luce. I monumenti hanno forme sinuose e tondeggianti, che si declinano in moschee e in scuole coraniche colorate, sovrastate da cupole fiabesche, ricoperte di ceramiche, dai colori scintillanti, affiancate da minareti imponenti. Il cielo è di un blu intenso e la luce del sole fa esplodere i ricami delle ceramiche delle facciate di monumenti religiosi. I disegni delle piastrelle si rincorrono in un’armonia di equilibri e di messaggi islamici. La gente chiede di poterti fotografare: sono aperti e vogliono immortalare in un selfie, l’incontro con quegli stranieri, che stanno scoprendo il loro mondo.
Le vie strette, comprese tra muri alti, si aprono in piazze ampie e armoniose, dove si ergono i palazzi storici del potere politico. Il minareto di Khiva, con le sue dimensioni generose e con le superfici decorate con i colori dell’Islam, definisce in modo unico e esclusivo lo skyline di questa meravigliosa cittadina. Proviamo una sensazione di stupore e di entusiasmo, tra costruzioni mirabolanti e fantasiose. Monica e Mukadass sono ovunque e ci trasmettono sicurezza e tranquillità. Sono sempre al posto giusto nel momento giusto. Non sentiamo neppure la stanchezza, non vogliamo smettere di farci sorprendere: a ogni angolo una madrassa, una moschea, un mausoleo, un minareto e infine un harem. Tutto ci lascia a bocca aperta. Cosa non sa fare l’uomo!
Monica è ovunque controlla, dirige, contiene, legge le paure e le fragilità sui volti dei suoi ospiti e interviene puntualmente con quelli più in difficoltà.
Hai netta l’impressione, che questa donna non sia soltanto una professionista, che lavora con efficienza, ma un personaggio carismatico, un punto di riferimento autorevole, sia per gli operatori del settore, che per la gente comune.
Mukadass è un fiume in piena, ricostruisce con puntualità i diversi accadimenti storici, descrive i personaggi famosi e ci irretisce con le leggende, che trasudano dell’epica di un popolo per noi lontano e leggendario.
Le vie sono piene di comitive di studenti locali in gita scolastica ed è un vociare convulso. Alcune insegnanti sfoggiano dei bastoni nervosi, come deterrente per contenere l’energia e l’irruenza dei ragazzi. Sono immagini così lontane dal nostro presente ma così simili a quelle della nostra infanzia, che ci inteneriscono.
Gli sguardi si incrociano e si aprono a sorrisi larghi da entrambe le parti. Scopriamo l’artigianato locale e in particolare assistiamo alla presentazione di un sorreggi libro di legno, intarsiato a mano. Infine entriamo nel nostro primo mausoleo. L’atmosfera religiosa è palpabile, il silenzio irretisce e il luogo trasmette rispetto e intensità emotiva. Gli interni sono talmente belli da annichilirci, con i loro azzurri infiniti, che si rincorrono su, sino alla cupola. Fuori la gente attende e si riposa. I bambini si rincorrono e le donne, giovanissime, li accudiscono, insieme ai nonni. I gruppi famigliari sono molto lontani dalle nostre famiglie nucleari, ma si percepisce una serenità e una facilità al sorriso, che noi abbiamo perso da troppo tempo.
Nel pomeriggio rientriamo per un riposino prima della cena, che è una meravigliosa sorpresa.
Mangiamo al tramonto, in pieno centro storico, all’aperto sotto un minareto in una delle piazze più belle di Khiva, tra la prima scuola russa della città e una madrassa sconsacrata. La luce si attenua, i mattoni si accendono di rosso, le cupole e il minareto ricoperto di pianelle colorate blue e verdi iniziano a stemperarsi nella morbida luce dell’orizzonte. I cibi sono perfetti, dominano le verdure e le paste ripiene, i sapori sono dolci e non stravolti dalle combinazioni di spezie. I bimbi locali si rincorrono o giocano nella piazza. Non un rumore d’auto, solo silenzio atavico, come le mura bombate che proteggono questo tesoro.
Il giorno dopo si parte per un lungo trasferimento verso Bukhara, la città santa. Attraversiamo il deserto sotto un cielo basso e nuvoloso. Dai finestrini del bus vediamo il confine del Tagikistan. La terra è piatta e arida, la velocità molto bassa e le strade polverose e grandemente dissestate per il gelo invernale, che quest’anno ha raggiunto anche i 50 gradi sotto zero. Ci fermiamo in quello che, almeno nelle intenzioni, vorrebbe sembrare un autogrill primordiale, ed è lì tra il vociare dei passeggeri locali e le nostre emozioni, che festeggiamo la Pasqua e anche qui come d’incanto Monica riesce a sorprenderci: compaiono le colombe e ci sembra quasi impossibile essere così lontani da casa.
Si riprende il viaggio e soltanto nel tardo pomeriggio si arriva a Bukhara. Ci fermiamo a visitare la residenza estiva del califfo. Ci troviamo in un’anomalia, per la prima volta si vedono le influenze della dominazione russa. Il tramonto copre di giallo rosato la facciata del palazzo, che si specchia in una grande vasca piena d’acqua. I colori dominanti sono il bianco e l’azzurro e il silenzio, quasi spettrale delle prime ombre della sera, è rotto dal suono stridulo dei pavoni, che abitano il parco. Finalmente in albergo. La stanchezza sembra non volerci lasciare, ma basta una ritemprante doccia calda e le energie miracolosamente ritornano. Anche qui, come per tutto il resto del viaggio, l’hotel è in una posizione strategica e comoda, non lontano dal centro storico che può essere raggiunto facilmente a piedi, e con tutti i confort. Usciamo per raggiungere la nostra prima “National House” dove ceneremo, in una tipica casa uzbeka, mangiando ottimo e abbondante cibo locale. La sera è tiepida e non infastidisce stare all’aperto, in un terrazzo al primo piano. C’è una tranquillità da noi da troppo tempo dimenticata, interrotta soltanto dalle risate scroscianti e dai commenti irriverenti, sulle nostre logore abitudini. Dopo cena un primo assaggio notturno della città e poi:…. a nanna!
La mattina si parte alla scoperta di questa città straordinaria, dove si rincorrono stili e monumenti di diversi periodi storici, da quelli più antichi, nei quali non c’è ancora stato il ricorso alle maioliche e i mausolei sono ancora costruiti in argilla, sino alle moschee, dove i soffitti intarsiati in legno decorato poggiano su colonne lignee intarsiate. Saliamo al belvedere della rocca, dove viveva il califfo insieme alla sua corte. E’ una struttura difensiva, a vocazione militare, dove non manca un grande salone per i ricevimenti e diversi edifici sia funzionali che di rappresentanza. Il colore dominante è il bianco e contrasta sia con l’azzurro intenso del cielo, che con i cumoli di nuvole bianche, che sembrano impegnati a gareggiare in bellezza. Dopo la visita sostiamo sotto le mura, la piazza è enorme, occupata da biciclette e da un povero dromedario, al quale per impedire di sputare agli ignari turisti, è stata applicata una specie di maschera antigas, che lo rende ridicolo e deluso. La piazza è costeggiata da un grande viale a doppia corsia, che si restringe all’altezza di un muro perimetrale sul quale poggiano tre grandi cupole smaltate di azzurro verde. Non possiamo non avvicinarci a quell’incantesimo, che si allarga su una piazza quasi divina tra due madrasse contrapposte e un minareto più che millenario. Rimaniamo sorpresi e sbigottiti da tanta bellezza. Il respiro si fa corto dall’emozione. Non avevamo mai visto niente di più spettacolare. I rivestimenti delle mattonelle sono un inno al bello. Nonostante la nostra abitudine alla rappresentazione antropomorfa, le decorazioni geometriche lasciano una profonda emozione nei turisti, e l’incanto prosegue nei cortili interni, altrettanto ricchi, dove Monica ci accompagna a incontrare gli artigiani più famosi e più rispettosi delle tradizioni.
Il sole di mezzogiorno illumina d’immenso le cupole verde-azzurro e ci conduce in uno dei tanti mercati coperti della città, dove ci rifocilliamo prima di ricominciare il nostro tour. Le scuole coraniche si alzano imponenti in ogni dove. I loro soffitti così minutamente decorati creano delle insolite armonie con la luce. I viali alberati sono ampi e si aprono alla città moderna, dove visitiamo uno dei pochi esempi sopravvissuti di architettura zoroastriana. Dove l’occhio si appoggia c’è un qualcosa da scoprire, una magia da ritrovare. Arriviamo all’ultima grande piazza, che avevamo intravisto la sera prima ed anche qui l’equilibrio, la sintonia dei colori, il mormorio delle genti ci stupiscono e ci meravigliano. La sera, a cena, in un locale moderno e quasi europeo ci abbandoniamo al piacere del karaoke. I freni inibitori ci hanno ormai abbandonato e ci lasciamo andare al canto e al ballo. La mattina dopo, prima di lasciare definitivamente Bukara per il deserto e il soggiorno nella yurta, completiamo la visita all’unica scuola coranica dedicata alle donne ed ormai chiusa. Ha una forma strana, con quattro minareti ed è dismessa, non è stata costruita nella zona centrale, ma in un quartiere periferico e dimesso. Partiamo verso il deserto, il viaggio è lungo, con una prima sosta presso una necropoli monumentale vicino alla citta, poi la visita di una fabbrica di ceramiche e infine il pranzo.
Infine dritti senza sosta verso il lago e il campo tendato. Lo raggiungiamo nel tardo pomeriggio. E’ assolutamente silenzioso, le acque sono ferme e le rive sono in fiore.
Fa freddo e la luce sembra coprire tutte le cose in un incanto dorato. Passeggiamo nel silenzio più totale. Soltanto il suono delle nostre voci interrompe di tanto in tanto lo sciabordio delle acque e il movimento dei canneti. Riprendiamo l’autobus per l’ultimo tratto verso il campo tendato. Le yurte sono poste circolarmente intorno ad un grande cratere centrale, per il fuoco serale. Entriamo in quella che sarà la nostra camera da letto per una notte, e improvvisamente le nostre comodità ci sovvengono. Cominciamo a cercare la doccia e il bagno privati. E’ una pretesa ridicola, ma purtroppo è così. Quando ci viene detto delle docce e dei bagni comuni, proviamo una sorta di immediata depressione bipolare: c’è chi ride e chi al contrario si abbandona allo sconforto più totale. Non va bene niente e i rimorsi affiorano. Anche in questa circostanza soltanto la professionalità e il garbo delle nostre accompagnatrici, ci impedisce di scivolare in una sorta di disperazione. La vestizione notturna è quanto di più complicato possa partorire la mente umana: scelte epocali devono essere compiute. Dormire vestiti o in pigiama? Come sopravvivere all’odore dei dromedari e dei montoni? Come risolvere il tema dei bisogni corporali notturni, quando la tazza del water è così lontana? Le decisioni sono le più diverse ed estreme e nel buio della notte non è così strano imbattersi in figure mostruose, che si dirigono verso le docce.
Alle prime luci del giorno tutti sono in piedi, già con la macchina fotografica in spalla per immortalare l’alba prima della ripartenza. Un’altra tappa di spostamento verso Samarcanda, la città di Tamerlano, coeva di Roma, dove la bellezza è assoluta. Una sosta per incrociare lo sguardo su quello che rimane del palazzo di Alessandro il grande e poi via, senza interruzioni, verso la grande città cantata in Italia da Vecchioni. Arriviamo al tramonto. La prima visita è dedicata al mausoleo di Tamerlano, un luogo unico sia internamente, che esternamente dove decorazioni in ceramica, si contrappongono a quelle interne in oro zecchino. E’ un’esplosione di bellezza, che sembra insuperabile ma questa città non finisce di sorprenderci e al tramonto le nostre straordinarie conduttrici ci portano alla piazza Registan. Rimaniamo senza fiato. Gli edifici laterali delle due scuole coraniche e la moschea centrale, unitamente ai dodici minareti sono come degli strumenti di una melodia universale, forme, decori, colori si integrano e si penetrano in un’armonia assoluta. Le tinte dei rivestimenti sono esaltate dalla luce del tramonto e dalla prima illuminazione serale. Sentiamo una forte emozione. La bellezza nutre lo spirito e qui non c’è solo il bello, ma anche il perfetto in un equilibrio teso verso l’infinito e Dio. Rimaniamo annichiliti da tanta spiritualità. Sembra, che questa tensione mirabile verso il divino produca una sinfonia di perfezione emozionante. I nostri visi sono tutti rivolti verso questa piazza, che riesce a rappresentare la dimensione massima della creatività umana. Lo stupore davanti a tanta bellezza non diminuisce nemmeno alla luce del giorno, anzi la accresce. Samarcanda è una città di colori intensi, forti ma anche delicati, che hanno il coraggio di resistere a tutte le avversità, anche alla morte, e che inneggiano alla vita anche nella necropoli della città, dove i mausolei dei familiari di Tamerlano si tingono di blu cobalto, come il cielo nei giorni più luminosi e puri della vita. Samarcanda ci intontisce con i colori delle cupole della moschea di Bibi, la moglie preferita di Tamerlano e i mercati dove abbiamo avuto una opportunità di incontrare la quotidianità di un popolo, che non si arrende.
L’ultima tappa è la capitale Tashkent, che presenta una struttura urbana da metropoli, ma già il traffico, la fretta e la quotidianità hanno prevalso sul passato. Poi voliamo in Italia, ma un frammento delle nostre emozioni rimane li tra gli splendidi monumenti e i sorrisi di un popolo giovane e fiero.
Abbiamo visto cose straordinarie sempre accompagnati da donne straordinarie, che fanno del loro lavoro una passione e che sanno trasmettere a noi turisti le esperienze migliori e i ricordi più indelebili. Siamo tornati, ma una parte di noi è ancora ripiegata su se stessa per trattenere ogni sentimento. Se stringiamo gli occhi, i fotogrammi del nostro viaggio si rincorrono sempre pieni di luce, come il paese che abbiamo appena lasciato, dove anche le cose estreme convivono armoniosamente.
La regia di quel corto metraggio appartiene a due donne, diverse per età, provenienza e cultura, che però hanno incrociato le loro abilità per rendere ogni situazione, la migliore tra quelle possibili.
La logistica è fondamentale per un turista, ma la differenza tra una vacanza bella e una indimenticabile è la capacità delle guide di appassionare e rendere esclusive le esperienze e il modo di viverle. In questo viaggio con Overland abbiamo fruito di questo privilegio nella sua forma più elevata. Nulla è stato lasciato al caso: la sicurezza, il benessere, la condivisione e addirittura l’empatia ci hanno affiancato e supportato in ogni momento. Eravamo in tanti sull’aereo del ritorno, ma solo il nostro gruppo ha avuto la fortuna di poter avere un’esperienza così esclusiva come la nostra, ne siamo certi. Sinceramente crediamo che il binomio Monica Rizza e Mukadass siano un plus per qualsiasi tour in Uzbekistan, perché, al di là delle variabili indipendenti garantiscono un target di cultura ed esperienza di vita uniche.
Nora Antonini
Nora ha partecipato al #gruppoOverland accompagnato da Monica in Uzbekistan.
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